Navate e Volta
(Opere attribuite a Giotto e aiuti)
Le grandi scene con le Storie di san Francesco riempiono tutta la fascia centrale della navata. Furono verosimilmente dipinte tra il 1290 e il 1295 da un ampio numero di pittori, al capo dei quali un filone della critica pone Giotto.
Molto dibattuta e controversa è la datazione del ciclo di affreschi, che rappresenta un momento capitale dell'arte italiana ed europea. Il ciclo di affreschi si lega strettamente con le vicende legate alla contrapposizione tra le fazioni dei conventuali e degli spirituali: quest'ultimi, invocando il diretto insegnamento di povertà di San Francesco si rifiutavano di arricchire i luoghi di culto francescani con opere d'arte. La linea spirituale prevalse nel capitolo generale di Narbona (1260) e ancora nel capitolo generale di Assisi del 1279 quando venne ribadita la scelta aniconica (senza immagini della divinità), nonostante l'opposizione di papa Niccolò III (papa dal 1277 al 1280). Molti indicano in questo papa, energico mecenate, l'iniziatore del ciclo di affreschi, ma è molto plausibile che invece sia stato Niccolò IV (papa dal 1288 al 1295), primo papa francescano che prodigò offerte per la basilica assisiate: con una bolla del 1288 stabilì per esempio che tutte le offerte donate dai pellegrini in visita ad Assisi fossero investite nella decorazione della chiesa. I primi affreschi dovrebbero risalire quindi al 1288. In ogni caso il papa dichiarò la basilica una cappella papale scavalcando i francescani e le loro norme sulla povertà e la sobrietà.
Secondo altri studiosi invece il ciclo pittorico iniziò tra il 1267 e il 1270 quando un "maestro di scuola gotica" e un "maestro di scuola romana" stavano lavorando alla parete destra del transetto nelle scene della vita degli apostoli Pietro e Paolo. La decorazione è continuata dal 1270 al 1280 sulla parete con la finestra, grazie all'opera di un "maestro romano"[4]. In realtà affreschi più antichi si trovano nella basilica inferiore: si tratta di resti di un primo ciclo con Storie di Francesco eseguite da un maestro giuntesco, in parte distrutti dall'apertura delle cappelle sulla navata.
Impaginazione delle Storie di San Francesco
Intanto è interessante notare l'organizzazione delle scene, inscritte in finte architetture che ricordano l'opera del Maestro di Isacco: al di sotto di una reale cornice marcapiano, che delimita il lato basso (con scalino) degli arconi del registro superiore, fu dipinta una serie di mensole, sorrette da illusionistiche colonne tortili con capitelli corinzi, che lasciano intravedere anche un sottile soffitto a cassettoni. In basso, a livello dello spettatore, è dipinta invece una cortina di tendaggi appesi. Tra colonna e colonna sono poste le 28 scene della vita del Santo, che quindi non sono come "quadri" appesi su pareti a sfondo geometrico come nei cicli di affreschi di scuola romana presenti anche nel registro superiore. Ciascuna scena è grande 230 x 270 cm ed è dipinta ad affresco con ritocchi a secco quasi inesistenti (o perduti). La lettura delle scene inizia vicino all'altare lungo la parete destra, poi prosegue nella controfacciata e infine nella parete sinistra fino a tornare vicino all'altare. Vi sono raffigurati episodi della vita del santo dalla giovinezza alla morte ai presunti miracoli postumi, con un'alternanza tra episodi storici ufficiali e leggende agiografiche.
L'insieme genera ancora stupore ed è difficile immaginare quale effetto dovessero fare sui contemporanei l'incredibile serie di novità introdotte da questo ciclo pittorico, che ruppe drasticamente con la pittura bizantina: niente più preziosismi fini a sé stessi, niente più oro, niente fissità da icona, niente simbologie arcane incomprensibili per la gente comune. La vita quotidiana tornò al centro delle attenzioni della pittura dopo essere stata esclusa dai cicli decorativi per secoli.
Molto dibattuta e controversa è la datazione del ciclo di affreschi, che rappresenta un momento capitale dell'arte italiana ed europea. Il ciclo di affreschi si lega strettamente con le vicende legate alla contrapposizione tra le fazioni dei conventuali e degli spirituali: quest'ultimi, invocando il diretto insegnamento di povertà di San Francesco si rifiutavano di arricchire i luoghi di culto francescani con opere d'arte. La linea spirituale prevalse nel capitolo generale di Narbona (1260) e ancora nel capitolo generale di Assisi del 1279 quando venne ribadita la scelta aniconica (senza immagini della divinità), nonostante l'opposizione di papa Niccolò III (papa dal 1277 al 1280). Molti indicano in questo papa, energico mecenate, l'iniziatore del ciclo di affreschi, ma è molto plausibile che invece sia stato Niccolò IV (papa dal 1288 al 1295), primo papa francescano che prodigò offerte per la basilica assisiate: con una bolla del 1288 stabilì per esempio che tutte le offerte donate dai pellegrini in visita ad Assisi fossero investite nella decorazione della chiesa. I primi affreschi dovrebbero risalire quindi al 1288. In ogni caso il papa dichiarò la basilica una cappella papale scavalcando i francescani e le loro norme sulla povertà e la sobrietà.
Secondo altri studiosi invece il ciclo pittorico iniziò tra il 1267 e il 1270 quando un "maestro di scuola gotica" e un "maestro di scuola romana" stavano lavorando alla parete destra del transetto nelle scene della vita degli apostoli Pietro e Paolo. La decorazione è continuata dal 1270 al 1280 sulla parete con la finestra, grazie all'opera di un "maestro romano"[4]. In realtà affreschi più antichi si trovano nella basilica inferiore: si tratta di resti di un primo ciclo con Storie di Francesco eseguite da un maestro giuntesco, in parte distrutti dall'apertura delle cappelle sulla navata.
Impaginazione delle Storie di San Francesco
Intanto è interessante notare l'organizzazione delle scene, inscritte in finte architetture che ricordano l'opera del Maestro di Isacco: al di sotto di una reale cornice marcapiano, che delimita il lato basso (con scalino) degli arconi del registro superiore, fu dipinta una serie di mensole, sorrette da illusionistiche colonne tortili con capitelli corinzi, che lasciano intravedere anche un sottile soffitto a cassettoni. In basso, a livello dello spettatore, è dipinta invece una cortina di tendaggi appesi. Tra colonna e colonna sono poste le 28 scene della vita del Santo, che quindi non sono come "quadri" appesi su pareti a sfondo geometrico come nei cicli di affreschi di scuola romana presenti anche nel registro superiore. Ciascuna scena è grande 230 x 270 cm ed è dipinta ad affresco con ritocchi a secco quasi inesistenti (o perduti). La lettura delle scene inizia vicino all'altare lungo la parete destra, poi prosegue nella controfacciata e infine nella parete sinistra fino a tornare vicino all'altare. Vi sono raffigurati episodi della vita del santo dalla giovinezza alla morte ai presunti miracoli postumi, con un'alternanza tra episodi storici ufficiali e leggende agiografiche.
L'insieme genera ancora stupore ed è difficile immaginare quale effetto dovessero fare sui contemporanei l'incredibile serie di novità introdotte da questo ciclo pittorico, che ruppe drasticamente con la pittura bizantina: niente più preziosismi fini a sé stessi, niente più oro, niente fissità da icona, niente simbologie arcane incomprensibili per la gente comune. La vita quotidiana tornò al centro delle attenzioni della pittura dopo essere stata esclusa dai cicli decorativi per secoli.
65 OMAGGIO DELL'UOMO SEMPLICE
La pittura di questa scena è dovuta in gran parte ad aiuti, ma straordinaria è l'organizzazione della scena, in un'ambientazione senza precedenti: gli spettatori vi potevano facilmente riconoscere la piazza di Assisi tra il Palazzo comunale (con la torre) e il tempio di Minerva, con gli edifici che creano un fondale realistico, costruito secondo precise misure secondo una coerente visione laterale e dal basso. La rappresentazione dei lati degli edifici in una sorta di assonometria intuitiva scorciata permette di creare anche la sensazione di sporgenza, come nel ballatorio dell'edificio sulla destra.
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (I,1) di san Francesco: "Quando un uomo semplice di Assisi stese le vesti dinanzi al beato Francesco e rese omaggio a lui che passava; oltre a ciò -si crede per ammaestramento di Dio- asserì essere Francesco degno di ogni riverenza, come chi era per fare in un tempo prossimo grandi cose, e perciò dover essere onorato da tutti."
FRANCESCO DONA IL MANTELLO AD Un POVERO
La scena di Francesco che dona il mantello a un povero o Elemosina del mantello è una delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm. La critica è concorde nell'individuare in questa scena la prima ad essere dipinta nel ciclo.
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (I,2) di san Francesco: "Quando il beato Francesco si incontrò con un cavaliere, nobile ma povero e malvestito, dalla cui indigenza mosso a compassione per affettuosa pietà, quello subito spogliatosi, rivestì." È la seconda scena del ciclo, dopo l' Omaggio dell'uomo semplice, ma fu probabilmente la prima ad essere dipinta: stilisticamente infatti mostra riflessi quasi metallici e gli spigoli appuntiti (soprattutto nello sfondo) di matrice cimabuesca, vicina alle scene del Maestro d'Isacco.
In questa scena non è rappresentato uno sfondo architettonico ma paesaggistico. La rappresentazione del paesaggio è ancora arcaica, con la convenzione tipicamente bizantina delle rocce scheggiate a distanza indefinita. Ai lati, come due quinte, si vedono dei gruppi di edifici: una sorta di eremo e una città murata, forse Assisi stessa.
Sogno delle armi
Il Sogno delle armi è la terza delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.
Descrizione e stile
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (I,3) di san Francesco: "La notte seguente, essendosi il beato Francesco assopito, vide un palazzo splendido e grande con armi guerresche fregiate del segno della croce di Cristo; e chiedendo di chi fossero, da una voce celeste gli fu risposto che esse sarebbero divenute tutte sue e dei suoi soldati."
Dettaglio
Nel 1204-1205 san Francesco, dopo essersi rimesso da una malattia e rivestito il povero cavaliere dei suoi vestiti, sognò un palazzo pieno d'armi, e udì una voce promettergli che tutto quello sarebbe stato suo; il sogno gli parve premonitore di una gloria militare (in realtà allude alla milizia francescana), speranza che lo fece decidere di mettersi in viaggio verso le Puglie. Giunto però a Spoleto, un nuovo sogno gli fece capire che stava servendo il "servo" (l'uomo), non il "padrone" (Dio) e lo invitò a tornare ad Assisi per restare "in attesa della volontà divina".
La scena è divisa in due fasce: il letto con san Francesco dormiente e Gesù che indica, i quali ricordano la costruzione della scena di Isacco che respinge Esaù del Maestro di Isacco nel registro superiore della basilica, e il palazzo con le armi accatastate.
Il palazzo, su un piano leggermente arretrato, è rappresentato con una prospettiva intuitiva, che mostra i pavimenti ai primi piani e i soffitti ai piani più alti. Interessante è l'elegante architettura gotica delle finestre a sesto acuto con archetti trilobati, e con colonnine corinzie. In colori sono accesi ed è accentuata la volumetria delle figure col chiaroscuro. La forma della stanza da letto, con le due cortine scortate, suggerisce un'idea di scansione di piani in profondità, mentre i grande letto sembra una sorta di proscenio, proprio come nelle Storie di Isacco.
Il volto di Francesco dormiente è convincentemente appoggiato sul cuscino e con un'espressione realistica, nonostante il curioso connubio della posizione con l'aureola. Un tempo il manto di Cristo aveva lumeggiature dorate che lo rendevano scintillante, oggi in larga parte perdute.
Descrizione e stile
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (I,3) di san Francesco: "La notte seguente, essendosi il beato Francesco assopito, vide un palazzo splendido e grande con armi guerresche fregiate del segno della croce di Cristo; e chiedendo di chi fossero, da una voce celeste gli fu risposto che esse sarebbero divenute tutte sue e dei suoi soldati."
Dettaglio
Nel 1204-1205 san Francesco, dopo essersi rimesso da una malattia e rivestito il povero cavaliere dei suoi vestiti, sognò un palazzo pieno d'armi, e udì una voce promettergli che tutto quello sarebbe stato suo; il sogno gli parve premonitore di una gloria militare (in realtà allude alla milizia francescana), speranza che lo fece decidere di mettersi in viaggio verso le Puglie. Giunto però a Spoleto, un nuovo sogno gli fece capire che stava servendo il "servo" (l'uomo), non il "padrone" (Dio) e lo invitò a tornare ad Assisi per restare "in attesa della volontà divina".
La scena è divisa in due fasce: il letto con san Francesco dormiente e Gesù che indica, i quali ricordano la costruzione della scena di Isacco che respinge Esaù del Maestro di Isacco nel registro superiore della basilica, e il palazzo con le armi accatastate.
Il palazzo, su un piano leggermente arretrato, è rappresentato con una prospettiva intuitiva, che mostra i pavimenti ai primi piani e i soffitti ai piani più alti. Interessante è l'elegante architettura gotica delle finestre a sesto acuto con archetti trilobati, e con colonnine corinzie. In colori sono accesi ed è accentuata la volumetria delle figure col chiaroscuro. La forma della stanza da letto, con le due cortine scortate, suggerisce un'idea di scansione di piani in profondità, mentre i grande letto sembra una sorta di proscenio, proprio come nelle Storie di Isacco.
Il volto di Francesco dormiente è convincentemente appoggiato sul cuscino e con un'espressione realistica, nonostante il curioso connubio della posizione con l'aureola. Un tempo il manto di Cristo aveva lumeggiature dorate che lo rendevano scintillante, oggi in larga parte perdute.
PREGHIERA IN SAN DAMIANO
.La Preghiera in San Damiano o Miracolo del Crocifisso è la quarta delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.
Descrizione e stile
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (II,1) di san Francesco: "Pregando il beato Francesco dinanzi all'immagine del Crocifisso, dalla croce venne una voce che disse tre volte: "Francesco, va', ripara la mia chiesa che tutta si distrugge", con ciò alludendo alla Chiesa di Roma." Secondo la leggenda infatti, nel 1205 il santo si rifugiò nella chiesa di San Damiano presso Assisi e sentì parlare il crocifisso che gli chiedeva di "riparare la sua Chiesa", con il significato ambivalente dell'edificio e della comunità cristiana corrotta.
San Francesco è rappresentato in preghiera davanti al Crocifisso di San Damiano entro la chiesetta diroccata nei pressi di Assisi, alla quale sono crollati una parte del muro e della copertura del soffitto. L'ambientazione architettonica è tra le più efficaci di tutto il ciclo, con la chiesa disposta di sbieco secondo una prospettiva intuitiva che mostra attraverso le aperture dei muri crollati, ampie parti dell'interno dove si svolge la scena. I dettagli architettonici sono vividamente reali: le capriate, l'abside, il recinto con intarsi marmorei in stile cosmatesco. Il rapporto proporzionale tra architettura e figura umana è ancora fuori scala, secondo un metodo di rappresentazione simbolica che sarà superato solo nel Rinascimento.
La croce è rappresentata in maniera simbolica, non strettamente fedele all'originale. Viene comunque rispettato il canone "antico" dell'immagine: un Christus triumphans con ai lati i tabelloni dei dolenti, non un Crocifisso ammodernato come quello di Santa Maria Novella, come se ne vede ad esempio nella scena della Verifica delle stimmate.
Descrizione e stile
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (II,1) di san Francesco: "Pregando il beato Francesco dinanzi all'immagine del Crocifisso, dalla croce venne una voce che disse tre volte: "Francesco, va', ripara la mia chiesa che tutta si distrugge", con ciò alludendo alla Chiesa di Roma." Secondo la leggenda infatti, nel 1205 il santo si rifugiò nella chiesa di San Damiano presso Assisi e sentì parlare il crocifisso che gli chiedeva di "riparare la sua Chiesa", con il significato ambivalente dell'edificio e della comunità cristiana corrotta.
San Francesco è rappresentato in preghiera davanti al Crocifisso di San Damiano entro la chiesetta diroccata nei pressi di Assisi, alla quale sono crollati una parte del muro e della copertura del soffitto. L'ambientazione architettonica è tra le più efficaci di tutto il ciclo, con la chiesa disposta di sbieco secondo una prospettiva intuitiva che mostra attraverso le aperture dei muri crollati, ampie parti dell'interno dove si svolge la scena. I dettagli architettonici sono vividamente reali: le capriate, l'abside, il recinto con intarsi marmorei in stile cosmatesco. Il rapporto proporzionale tra architettura e figura umana è ancora fuori scala, secondo un metodo di rappresentazione simbolica che sarà superato solo nel Rinascimento.
La croce è rappresentata in maniera simbolica, non strettamente fedele all'originale. Viene comunque rispettato il canone "antico" dell'immagine: un Christus triumphans con ai lati i tabelloni dei dolenti, non un Crocifisso ammodernato come quello di Santa Maria Novella, come se ne vede ad esempio nella scena della Verifica delle stimmate.
SAN FRAnCESCO RINUNCIA AI BELI TERRENI
Fai clic qui per effettuare modifiche.la " rinuncia degli averi" è la quinta delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (I, 3) di san Francesco: "Quando restituì al padre ogni cosa e, deposte le vesti, rinunciò ai beni paterni e temporali, dicendo: «Di qui in avanti posso dire con certezza: -Padre nostro che sei nei cieli-, poiché Pietro di Bernardone m'ha ripudiato.»"
Descrizione e stile
La scena, che nella realtà si svolse in piazza del Duomo a Foligno, è organizzata secondo uno schema molto efficace di due fasce verticali intervallate dallo sfondo neutro: a sinistra Pietro Bernardone, il padre di Francesco, col volto contratto, dalla notevole espressività, viene trattenuto da un uomo per un braccio; egli ha il pugno chiuso e si solleva la veste come per volersi lanciare contro il figlio, un vero e proprio "gesto parlante"; dietro di lui si dispiegano i cittadini borghesi; dall'altra parte san Francesco spogliato che prega asceticamente verso la mano di Dio benedicente che appare tra le nuvole; il vescovo copre alla meglio la sua nudità e altri religiosi (caratterizzati dalla tonsura) lo seguono. La netta spaccatura della scena è efficacemente simbolica delle posizioni inconciliabili dei due schieramenti, che sono il passato e il presente di Francesco.
Nella casualità quotidiana della folla non è tralasciata nemmeno la raffigurazione di due bambini, quali passanti, che tengono le vesti rialzate, forse per tenere dei sassi da tirare al "pazzo".
Notevolissima è poi la resa anatomica del corpo di Francesco, con chiare lumeggiature che definiscono il volume della muscolatura di sorprendente modernità (si pensi quanto sono lontani i geometrici grafismi dei crocifissi della pittura immediatamente precedente). Particolarmente stringenti sono le affinità, soprattutto nei volti, con le figure dipinte nei registri superiori della basilica dal cosiddetto Maestro di Isacco, forse lo stesso Giotto forse un capobottega leggermente più anziano.
Le scenografie architettoniche sono particolarmente sviluppate in altezza e creano complessi volumi con vuoti e pieni (si guardi per esempio al terrazzo sulla destra sostenuto da una colonna). In questi edifici non sono mantenuti rapporti dimensionali coerenti con le figure presenti, ma sono delle semplici quinte alla scena. Alcune incertezze assonometriche si possono notare nella scaletta esterna sulla sinistra, dove i gradini non sono dritti per permettere l'innaturale visione del pavimento (mentre si vede il soffitto del pianerottolo anche in basso dove è sorretto da due colonne.
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (I, 3) di san Francesco: "Quando restituì al padre ogni cosa e, deposte le vesti, rinunciò ai beni paterni e temporali, dicendo: «Di qui in avanti posso dire con certezza: -Padre nostro che sei nei cieli-, poiché Pietro di Bernardone m'ha ripudiato.»"
Descrizione e stile
La scena, che nella realtà si svolse in piazza del Duomo a Foligno, è organizzata secondo uno schema molto efficace di due fasce verticali intervallate dallo sfondo neutro: a sinistra Pietro Bernardone, il padre di Francesco, col volto contratto, dalla notevole espressività, viene trattenuto da un uomo per un braccio; egli ha il pugno chiuso e si solleva la veste come per volersi lanciare contro il figlio, un vero e proprio "gesto parlante"; dietro di lui si dispiegano i cittadini borghesi; dall'altra parte san Francesco spogliato che prega asceticamente verso la mano di Dio benedicente che appare tra le nuvole; il vescovo copre alla meglio la sua nudità e altri religiosi (caratterizzati dalla tonsura) lo seguono. La netta spaccatura della scena è efficacemente simbolica delle posizioni inconciliabili dei due schieramenti, che sono il passato e il presente di Francesco.
Nella casualità quotidiana della folla non è tralasciata nemmeno la raffigurazione di due bambini, quali passanti, che tengono le vesti rialzate, forse per tenere dei sassi da tirare al "pazzo".
Notevolissima è poi la resa anatomica del corpo di Francesco, con chiare lumeggiature che definiscono il volume della muscolatura di sorprendente modernità (si pensi quanto sono lontani i geometrici grafismi dei crocifissi della pittura immediatamente precedente). Particolarmente stringenti sono le affinità, soprattutto nei volti, con le figure dipinte nei registri superiori della basilica dal cosiddetto Maestro di Isacco, forse lo stesso Giotto forse un capobottega leggermente più anziano.
Le scenografie architettoniche sono particolarmente sviluppate in altezza e creano complessi volumi con vuoti e pieni (si guardi per esempio al terrazzo sulla destra sostenuto da una colonna). In questi edifici non sono mantenuti rapporti dimensionali coerenti con le figure presenti, ma sono delle semplici quinte alla scena. Alcune incertezze assonometriche si possono notare nella scaletta esterna sulla sinistra, dove i gradini non sono dritti per permettere l'innaturale visione del pavimento (mentre si vede il soffitto del pianerottolo anche in basso dove è sorretto da due colonne.
IL SOGNO DI INNOCENZO III°
Fai clic qui per effettuare modifiche.Il Sogno di Innocenzo III è la sesta delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.
Descrizione e stile
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (III,10) di san Francesco: "Come il papa vedeva la basilica lateranense esser già prossima alla rovina; la quale era sostenuta da un poverello <si intende il beato Francesco>, mettendole sotto il proprio dosso perché non cadesse."
Durante un sogno papa Innocenzo III vede l'umile Francesco che regge la Basilica del Laterano, che all'epoca rappresentava quello che oggi è San Pietro in Vaticano, cioè il cuore della Chiesa latina. La basilica sta crollando, come si deduce dalla forte inclinazione dell'edificio, secondo una stratagemma di origine medievale, usato ad esempio anche una dozzina d'anni prima da Cimabue nel transetto destro, nella scena della Caduta di Babilonia.
Viene qui riproposto il letto a baldacchino con il papa e due guardie dormienti (già presente nel Sogno delle armi e nella scena di Isacco che respinge Esaù del Maestro di Isacco), spostato però al lato destro, mentre a sinistra si svolge il sogno, con una basilica vistosamente inclinata che è sorretta con un gesto molto eloquente dal santo, che qui appare per la prima volta nelle vesti di frate e che diventa "colonna della Chiesa". La scansione dei pieni è molto efficace, mentre i volti ricordano la mano del Maestro di Isacco. La struttura spaziale della stanza a destra è oggi indebolita dalla scomparsa di un cassone dipinto a secco tra il letto del papa e le due figure sedute.
La parte in alto a sinistra è stata restaurata, come si nota dallo stacco di colore.
Descrizione e stile
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (III,10) di san Francesco: "Come il papa vedeva la basilica lateranense esser già prossima alla rovina; la quale era sostenuta da un poverello <si intende il beato Francesco>, mettendole sotto il proprio dosso perché non cadesse."
Durante un sogno papa Innocenzo III vede l'umile Francesco che regge la Basilica del Laterano, che all'epoca rappresentava quello che oggi è San Pietro in Vaticano, cioè il cuore della Chiesa latina. La basilica sta crollando, come si deduce dalla forte inclinazione dell'edificio, secondo una stratagemma di origine medievale, usato ad esempio anche una dozzina d'anni prima da Cimabue nel transetto destro, nella scena della Caduta di Babilonia.
Viene qui riproposto il letto a baldacchino con il papa e due guardie dormienti (già presente nel Sogno delle armi e nella scena di Isacco che respinge Esaù del Maestro di Isacco), spostato però al lato destro, mentre a sinistra si svolge il sogno, con una basilica vistosamente inclinata che è sorretta con un gesto molto eloquente dal santo, che qui appare per la prima volta nelle vesti di frate e che diventa "colonna della Chiesa". La scansione dei pieni è molto efficace, mentre i volti ricordano la mano del Maestro di Isacco. La struttura spaziale della stanza a destra è oggi indebolita dalla scomparsa di un cassone dipinto a secco tra il letto del papa e le due figure sedute.
La parte in alto a sinistra è stata restaurata, come si nota dallo stacco di colore.
INNOCENZO III° CONFERMA LA REGOLA
Fai clic qui per effettuare modifiche.Innocenzo III approva la Regola francescana è la settima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.
Descrizione e stile
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (III,10) di san Francesco: "Quando il papa approvò la Regola e diede mandato di predicare la penitenza, e ai frati, che avevano accompagnato il santo, fece fare corone, perché predicassero il verbo di Dio."
Questa scena è importante per la straordinaria coerenza con la quale è definita l'ambientazione architettonica della scena stessa, soprattutto nella sorprendente parte superiore, dove le volte a botte su mensole sono virtuosisticamente rappresentate in prospettiva e scorcio intuitivi. Ma l'architettura non è astratta e le linee che genera corrispondono anche al sottostante raggruppamento dei personaggi nella scena. I frati non sono più allineati in file orizzontali, come nella tradizione bizantina, ma per file disposte in profondità, come era stato fatto per la prima volta nel vicino affresco della Coppa ritrovata nel registro superiore della basilica.
Di grande umanità è il volto di san Francesco barbuto mentre, sorridente, riceve la benedizione del papa Innocenzo III e la bolla che autorizza l'ordine francescano. Anche gli altri personaggi hanno espressioni intense e realistiche, sottolineate da ombreggiature forti che si ritrovano anche nelle opere del Maestro di Isacco. Diverso è il trattamento materico dei ruvidi sai dei frati rispetto alla ricchezza della veste papale, con l'elegante stola, e del seguito pontificio, descritti con accuratezza fin nei dettagli. Stoffe inoltre decorano le pareti, a testimoniare la sontuosità dell'ambiente, anche se molte delle decorazioni previste, già eseguite a secco, sono oggi perdute.
Forte è il senso dei volumi, grazie all'accentuazione del chiaroscuro.
Descrizione e stile
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (III,10) di san Francesco: "Quando il papa approvò la Regola e diede mandato di predicare la penitenza, e ai frati, che avevano accompagnato il santo, fece fare corone, perché predicassero il verbo di Dio."
Questa scena è importante per la straordinaria coerenza con la quale è definita l'ambientazione architettonica della scena stessa, soprattutto nella sorprendente parte superiore, dove le volte a botte su mensole sono virtuosisticamente rappresentate in prospettiva e scorcio intuitivi. Ma l'architettura non è astratta e le linee che genera corrispondono anche al sottostante raggruppamento dei personaggi nella scena. I frati non sono più allineati in file orizzontali, come nella tradizione bizantina, ma per file disposte in profondità, come era stato fatto per la prima volta nel vicino affresco della Coppa ritrovata nel registro superiore della basilica.
Di grande umanità è il volto di san Francesco barbuto mentre, sorridente, riceve la benedizione del papa Innocenzo III e la bolla che autorizza l'ordine francescano. Anche gli altri personaggi hanno espressioni intense e realistiche, sottolineate da ombreggiature forti che si ritrovano anche nelle opere del Maestro di Isacco. Diverso è il trattamento materico dei ruvidi sai dei frati rispetto alla ricchezza della veste papale, con l'elegante stola, e del seguito pontificio, descritti con accuratezza fin nei dettagli. Stoffe inoltre decorano le pareti, a testimoniare la sontuosità dell'ambiente, anche se molte delle decorazioni previste, già eseguite a secco, sono oggi perdute.
Forte è il senso dei volumi, grazie all'accentuazione del chiaroscuro.
APPARIZIONE DI SAN FRANCESCO SU UN CARRO DI FUOCO
Fai clic qui per effettuare modifiche.L'Apparizione di san Francesco su un carro di fuoco è l'ottava delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.
Descrizione e stile
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (IV,4) di san Francesco: "Pregando il beato Francesco in un tugurio ed essendo i suoi frati in un altro tugurio fuori dalla città, alcuni riposando e altri perseverando nelle orazioni, ed essendo il santo corporalmente lontano dai suoi figli, ecco che costoro videro il beato Francesco sopra un carro infocato e splendente correre per la casa, circa la mezzanotte, mentre il tugurio risplendeva d'una grande luce; onde stupirono quelli che vegliavano, si destarono e spaventarono gli altri che dormivano."
In questa scena lo spazio è diviso in tre parti: la struttura architettonica, a sinistra, con i frati addormentati, i frati all'esterno che chiamano i confratelli e la potente visione del carro in cielo, che è inclinato a sottolineare una dimensione di sogno. Inoltre l'eccezionalità della visione è sottolineata dall'opposta scelta del punto di vista focale rispetto a quello dell'architettura. La trasfigurazione è sottolineata da raggi di luce che circondano il corpo del santo. La capanna descritta da Bonaventura ha lasciato il posto a un sontuoso palazzo, decorato da fregi, lacunari, medaglioni e intarsi cosmateschi.
Notevole è la resa del volume del corpo del cavallo in primo piano, mentre il secondo si intravede appena, essendo coperto dal primo, una convenzione stilistica ereditata da modelli più antichi. Anche la forma del carro e le sue decorazioni ricordano antichi bassorilievi architettonici romani. Nei volti dei due frati a destra Bruno Zanardi e Federico Zeri individuarono lo stile del secondo capobottega, essi in Pietro Cavallini.
Descrizione e stile
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (IV,4) di san Francesco: "Pregando il beato Francesco in un tugurio ed essendo i suoi frati in un altro tugurio fuori dalla città, alcuni riposando e altri perseverando nelle orazioni, ed essendo il santo corporalmente lontano dai suoi figli, ecco che costoro videro il beato Francesco sopra un carro infocato e splendente correre per la casa, circa la mezzanotte, mentre il tugurio risplendeva d'una grande luce; onde stupirono quelli che vegliavano, si destarono e spaventarono gli altri che dormivano."
In questa scena lo spazio è diviso in tre parti: la struttura architettonica, a sinistra, con i frati addormentati, i frati all'esterno che chiamano i confratelli e la potente visione del carro in cielo, che è inclinato a sottolineare una dimensione di sogno. Inoltre l'eccezionalità della visione è sottolineata dall'opposta scelta del punto di vista focale rispetto a quello dell'architettura. La trasfigurazione è sottolineata da raggi di luce che circondano il corpo del santo. La capanna descritta da Bonaventura ha lasciato il posto a un sontuoso palazzo, decorato da fregi, lacunari, medaglioni e intarsi cosmateschi.
Notevole è la resa del volume del corpo del cavallo in primo piano, mentre il secondo si intravede appena, essendo coperto dal primo, una convenzione stilistica ereditata da modelli più antichi. Anche la forma del carro e le sue decorazioni ricordano antichi bassorilievi architettonici romani. Nei volti dei due frati a destra Bruno Zanardi e Federico Zeri individuarono lo stile del secondo capobottega, essi in Pietro Cavallini.
VISIONE DEI TRONI
Fai clic qui per effettuare modifiche.La Visione dei troni è la nona delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.
Descrizione e stile
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (VI,6) di san Francesco: "Visione di un compagno di san Francesco che vide in cielo molti seggi, e uno, più degli altri degno, d'ogni gloria rifulgente; e udì una voce che diceva: «Questo seggio fu di uno degli angeli che caddero, e ora è riservato all'umile Francesco»."
La scena ha un impianto molto semplice, ma molto eloquente. In alto è disposto il trono vuoto di Francesco, che ricorda l'etimasia, con accanto altri quattro troni più piccoli.
Mentre il frate ha la visione, l'angelo indica Francesco che prega davanti a un'edicola. L'angelo è dipinto sfasato, a sottolineare la dimensione di sogno. Amorevole è, anche in questo caso, la cura descrittiva del dettagli. Il piccolo altare ad esempio è illuminato da una lampada tenuta sospesa da una cordicella, e sopra di esso sta un panno di lino e una croce appoggiata. Intarsi cosmateschi decorano qua e là l'architettura.
Come nell'attigua Apparizione di san Francesco su un carro di fuoco, anche in questo caso la visione ultraterrena dei troni ha uno scorcio opposto a quello dell'architetura, amplificando un divario tra sfera celeste e mondo terrestre.
Descrizione e stile
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (VI,6) di san Francesco: "Visione di un compagno di san Francesco che vide in cielo molti seggi, e uno, più degli altri degno, d'ogni gloria rifulgente; e udì una voce che diceva: «Questo seggio fu di uno degli angeli che caddero, e ora è riservato all'umile Francesco»."
La scena ha un impianto molto semplice, ma molto eloquente. In alto è disposto il trono vuoto di Francesco, che ricorda l'etimasia, con accanto altri quattro troni più piccoli.
Mentre il frate ha la visione, l'angelo indica Francesco che prega davanti a un'edicola. L'angelo è dipinto sfasato, a sottolineare la dimensione di sogno. Amorevole è, anche in questo caso, la cura descrittiva del dettagli. Il piccolo altare ad esempio è illuminato da una lampada tenuta sospesa da una cordicella, e sopra di esso sta un panno di lino e una croce appoggiata. Intarsi cosmateschi decorano qua e là l'architettura.
Come nell'attigua Apparizione di san Francesco su un carro di fuoco, anche in questo caso la visione ultraterrena dei troni ha uno scorcio opposto a quello dell'architetura, amplificando un divario tra sfera celeste e mondo terrestre.
CACCIATA DEI DIAVOLI DA AREZZO
Fai clic qui per effettuare modifiche.La Cacciata dei diavoli da Arezzo è la decima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.
Descrizione e stile
L'episodio appartiene alla serie della Legenda maior (VI,9) di Francesco d'Assisi: «Quando il beato Francesco vide sopra la città di Arezzo i demoni esultanti e al suo compagno disse: “Va', e in nome di Dio scaccia i diavoli, così come dal Signore stesso ti è stato ordinato, gridando da fuori della porta”; e come quello obbedendo gridò, i demoni fuggirono e subito pace fu fatta».
A sinistra è rappresentata una grande cattedrale gotica in tutta la sua possenza architettonica. Oltre le mura della città sporgono le torri, costruite con colori chiari come cubi incastrati l'uno nell'altro, secondo una "prospettiva" intuitiva e non geometricamente allineata. Ricca è la descrizione dei dettagli architettonici, quali balconi, merli, altane, marcapiano e intarsi. A un terrazzo è appesa una campanella con una corda. In cima una torre, appesa a un'impalcatura lignea sta una grande campana, mentre su quella più alta, appena più a destra, si trova un ballatoio ligneo e un argano con appeso un uncino, usato per tirare su carichi di merci e materiali edilizi. Tre figure di passanti si intravedono affacciarsi dalle porte cittadine.
In alto, i diavoli scappano cacciati dal confratello, su ordine di Francesco, che è inginocchiato dietro di lui. Nella raffigurazione dei demoni, dalle ali di pipistrello, furono usati tratti legati all'immaginario popolare, non privi di componenti patetiche o burlesche. Da un punto di vista simbolico essi rappresentano le discordie che sfociavano nelle tante guerriglie urbane nell'Italia comunale. Visivamente appaiono contrapposti il mondo spirituale, sottolineato dalla cattedrale, di Francesco del suo compagno, e quello profano della veduta cittadina. Secondo gli studi di Bruno Zanardi e Federico Zeri, i volti dei protagonisti sono da riferire al cosiddetto "secondo capobottega", che essi indicano in Pietro Cavallini e un altro maestro romano anonimo.
Descrizione e stile
L'episodio appartiene alla serie della Legenda maior (VI,9) di Francesco d'Assisi: «Quando il beato Francesco vide sopra la città di Arezzo i demoni esultanti e al suo compagno disse: “Va', e in nome di Dio scaccia i diavoli, così come dal Signore stesso ti è stato ordinato, gridando da fuori della porta”; e come quello obbedendo gridò, i demoni fuggirono e subito pace fu fatta».
A sinistra è rappresentata una grande cattedrale gotica in tutta la sua possenza architettonica. Oltre le mura della città sporgono le torri, costruite con colori chiari come cubi incastrati l'uno nell'altro, secondo una "prospettiva" intuitiva e non geometricamente allineata. Ricca è la descrizione dei dettagli architettonici, quali balconi, merli, altane, marcapiano e intarsi. A un terrazzo è appesa una campanella con una corda. In cima una torre, appesa a un'impalcatura lignea sta una grande campana, mentre su quella più alta, appena più a destra, si trova un ballatoio ligneo e un argano con appeso un uncino, usato per tirare su carichi di merci e materiali edilizi. Tre figure di passanti si intravedono affacciarsi dalle porte cittadine.
In alto, i diavoli scappano cacciati dal confratello, su ordine di Francesco, che è inginocchiato dietro di lui. Nella raffigurazione dei demoni, dalle ali di pipistrello, furono usati tratti legati all'immaginario popolare, non privi di componenti patetiche o burlesche. Da un punto di vista simbolico essi rappresentano le discordie che sfociavano nelle tante guerriglie urbane nell'Italia comunale. Visivamente appaiono contrapposti il mondo spirituale, sottolineato dalla cattedrale, di Francesco del suo compagno, e quello profano della veduta cittadina. Secondo gli studi di Bruno Zanardi e Federico Zeri, i volti dei protagonisti sono da riferire al cosiddetto "secondo capobottega", che essi indicano in Pietro Cavallini e un altro maestro romano anonimo.
.SAN FRANCESCO DAVANTI AL SULTANO
Fai clic qui per effettuare modifiche.San Francesco davanti al Sultano (o Prova del fuoco) è l'undicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.
Descrizione e stile Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (IX,8) di san Francesco: "Quando il beato Francesco per la fede in Cristo volle entrare in un grande fuoco coi sacerdoti del Soldano di Babilonia[1]; ma nessuno di loro volle entrare con lui, e subito tutti fuggirono dalla sua vista."
San Francesco si recò realmente in oriente con la Quinta Crociata ed incontrò il sultano ayyubide al-Malik al-Kāmil. L'incontro tra i due personaggi è sicuramente avvenuto; improbabile, invece, la versione secondo la quale san Francesco abbia tentato di convertire il sultano, che rimase comunque colpito dalla figura ascetica del santo. La prova del fuoco cui si sottopose volontariamente Francesco gli fece guadagnare molta stima nei confronti del sultano e della corte.
Davanti al santo i preziosi regali donatigli dal sultano, che però il frate rifiutò. Francesco si rivolge allora al fuoco, sfidando a passarci incolume attraverso per dimostrare la veridicità dei suoi argomenti religiosi e la protezione assegnatagli da Dio, mentre un gruppo di astanti appare sorpreso e spaventato. Anche in questo caso, come in altre scene, l'architettura dello sfondo ha il ruolo di coordinare la scansione dei gruppi e quindi facilitare la lettura della scena. Dei preziosi inserti metallici che decorano i bassorilievi alla base del trono restano oggi alcune tracce parziali.
Alcuni attribuiscono questa scena a Memmo di Filippuccio o al maestro della volta dei Dottori della Chiesa, oppure viene rilevata una stesura in gran parte non autografa
Descrizione e stile Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (IX,8) di san Francesco: "Quando il beato Francesco per la fede in Cristo volle entrare in un grande fuoco coi sacerdoti del Soldano di Babilonia[1]; ma nessuno di loro volle entrare con lui, e subito tutti fuggirono dalla sua vista."
San Francesco si recò realmente in oriente con la Quinta Crociata ed incontrò il sultano ayyubide al-Malik al-Kāmil. L'incontro tra i due personaggi è sicuramente avvenuto; improbabile, invece, la versione secondo la quale san Francesco abbia tentato di convertire il sultano, che rimase comunque colpito dalla figura ascetica del santo. La prova del fuoco cui si sottopose volontariamente Francesco gli fece guadagnare molta stima nei confronti del sultano e della corte.
Davanti al santo i preziosi regali donatigli dal sultano, che però il frate rifiutò. Francesco si rivolge allora al fuoco, sfidando a passarci incolume attraverso per dimostrare la veridicità dei suoi argomenti religiosi e la protezione assegnatagli da Dio, mentre un gruppo di astanti appare sorpreso e spaventato. Anche in questo caso, come in altre scene, l'architettura dello sfondo ha il ruolo di coordinare la scansione dei gruppi e quindi facilitare la lettura della scena. Dei preziosi inserti metallici che decorano i bassorilievi alla base del trono restano oggi alcune tracce parziali.
Alcuni attribuiscono questa scena a Memmo di Filippuccio o al maestro della volta dei Dottori della Chiesa, oppure viene rilevata una stesura in gran parte non autografa
SAN FRANCESCO IN ESTASI
Fai clic qui per effettuare modifiche.San Francesco in estasi è la dodicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.
Descrizione e stile
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (X,4) di san Francesco: "Come il beato Francesco, pregando un giorno fervidamente, fu scorto dai frati levarsi da terra con tutto il corpo, con le mani protese; e una fulgidissima nuvoletta risplendette intorno a lui."
Notevole è la costruzione della scena secondo linee ascensionali che evidenziano la salita del frate su una nuvola verso Dio, che si sporge dall'angolo in alto a destra, piegandosi per benedirlo. Anche in questo caso, come in altre scene, i gruppi sono orchestrati con l'aiuto dell'architettura dello sfondo, con una grande porta cittadina, fatta di volumi cubici e colorati, che torreggia dietro al gruppo dei frati e Francesco, isolato, che si staglia contro il cielo, in una posa che ricorda la crocifissione. Il vivace gesticolare dei frati e alcune notazioni naturalistiche (come i sandali) dimostrano la nuova presa di possesso della realtà da parte del pittore. A destra invece una collinetta con alberi segna una sintetica notazione naturalistica, forse allusione al Monte Tabor o alla Verna.
La stesura è in gran parte riferita ad aiuti, secondo Gnudi gli stessi che dipinsero la Pentecoste e l'Ascensione nel registro superiore della controfacciata. I fautori della tesi del "non Giotto" registrano come gli incarnati, in questa scena come in quelle vicine, siano diversi da quelli solitamente dipinti dal pittore fiorentino, facendo piuttosto il nome del "secondo capobottega", forse il romano Pietro Cavallini.
Descrizione e stile
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (X,4) di san Francesco: "Come il beato Francesco, pregando un giorno fervidamente, fu scorto dai frati levarsi da terra con tutto il corpo, con le mani protese; e una fulgidissima nuvoletta risplendette intorno a lui."
Notevole è la costruzione della scena secondo linee ascensionali che evidenziano la salita del frate su una nuvola verso Dio, che si sporge dall'angolo in alto a destra, piegandosi per benedirlo. Anche in questo caso, come in altre scene, i gruppi sono orchestrati con l'aiuto dell'architettura dello sfondo, con una grande porta cittadina, fatta di volumi cubici e colorati, che torreggia dietro al gruppo dei frati e Francesco, isolato, che si staglia contro il cielo, in una posa che ricorda la crocifissione. Il vivace gesticolare dei frati e alcune notazioni naturalistiche (come i sandali) dimostrano la nuova presa di possesso della realtà da parte del pittore. A destra invece una collinetta con alberi segna una sintetica notazione naturalistica, forse allusione al Monte Tabor o alla Verna.
La stesura è in gran parte riferita ad aiuti, secondo Gnudi gli stessi che dipinsero la Pentecoste e l'Ascensione nel registro superiore della controfacciata. I fautori della tesi del "non Giotto" registrano come gli incarnati, in questa scena come in quelle vicine, siano diversi da quelli solitamente dipinti dal pittore fiorentino, facendo piuttosto il nome del "secondo capobottega", forse il romano Pietro Cavallini.
IL PRESEPE DI GRECCIO
Fai clic qui per effettuare modifiche.l Presepe di Greccio è la tredicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.
Indice
1 Storia
2 Descrizione
3 Bibliografia
4 Altri progetti
5 Collegamenti esterni
Storia
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (X,7) di san Francesco: "Come il beato Francesco, in memoria del Natale di Cristo, ordinò che si apprestasse il presepe, che si portasse il fieno, che si conducessero il bue e l'asino; e predicò sulla natività del Re povero; e, mentre il santo uomo teneva la sua orazione, un cavaliere scorse il <vero> Gesù Bambino in luogo di quello che il santo aveva portato."
Durante la notte di Natale del 1223, a Greccio (in provincia di Rieti, sulla strada che da Stroncone prosegue verso il reatino), Francesco rievocò la nascita di Gesù, organizzando una rappresentazione vivente di quell'evento. Secondo le agiografie, durante la Messa, sarebbe apparso nella culla un bambino in carne ed ossa, che Francesco prese in braccio. Da questo episodio ebbe origine la tradizione del presepe.
Nonostante le fonti, Giotto pone la scena nel presbiterio che ricorda la Basilica inferiore di Assisi.
Già tra gli affreschi meno leggibili del ciclo, fu restaurato una prima volta nel 1798 dal Fea (resoconto pubblicato nel 1820).
Descrizione
La scena, oltre che una delle più famose, è uno straordinario documento dell'epoca. Nessun pittore si era mai spinto a tanto realismo: lo spettatore osserva dalla parte di solito riservata ai soli sacerdoti e religiosi (da un ipotetico punto di vista nell'abside), dove sono rappresentati con minuzia e vivace descrittività le caratteristiche dell'ambiente oltre il tramezzo che lo separa dalla navata: un ciborio che ricorda quelli di Arnolfo di Cambio, i frati che cantano nel coro guardando al reggilibro in alto, un pulpito visto dal lato dell'ingresso ed una croce lignea sagomata appesa, vista dal dietro, con tutti i rinforzi, e sapientemente raffigurata obliqua mentre pende verso la navata.
Una folla di persone assiste alla scena in primo piano di Francesco con il santo Bambino tra le mani (provvisto pure lui di aureola), ma le donne non possono entrare e osservano dalla porta. Molto reale è la collocazione dei personaggi nello spazio, che appaiono su piani diversi senza dare l'effetto di librarsi nell'aria o di schiacciarsi l'uno sull'altro, come nelle tavole di pittori di poco più antiche. Solo i frati sporgono in alto perché sono in piedi sugli stalli del coro di cui si intuisce la presenza solo da un piccolo dettaglio accanto alla porta. Essi hanno le bocche aperte perché stanno cantando e lo sguardo diretto al badalone (leggio) con un codice che riporta le parole e la musica.
La stesura dimostra un ampio ricorso ad aiuti di bottega. Molte delle vesti dei personaggi, a tempera, avevano originariamente colori ben diversi da quelli oggi visibili. Gli studi recenti di Bruno Zanardi e Federico Zeri leggono nel particolare modo di eseguire gli incarnati un intervento di Pietro Cavallini.
Indice
1 Storia
2 Descrizione
3 Bibliografia
4 Altri progetti
5 Collegamenti esterni
Storia
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (X,7) di san Francesco: "Come il beato Francesco, in memoria del Natale di Cristo, ordinò che si apprestasse il presepe, che si portasse il fieno, che si conducessero il bue e l'asino; e predicò sulla natività del Re povero; e, mentre il santo uomo teneva la sua orazione, un cavaliere scorse il <vero> Gesù Bambino in luogo di quello che il santo aveva portato."
Durante la notte di Natale del 1223, a Greccio (in provincia di Rieti, sulla strada che da Stroncone prosegue verso il reatino), Francesco rievocò la nascita di Gesù, organizzando una rappresentazione vivente di quell'evento. Secondo le agiografie, durante la Messa, sarebbe apparso nella culla un bambino in carne ed ossa, che Francesco prese in braccio. Da questo episodio ebbe origine la tradizione del presepe.
Nonostante le fonti, Giotto pone la scena nel presbiterio che ricorda la Basilica inferiore di Assisi.
Già tra gli affreschi meno leggibili del ciclo, fu restaurato una prima volta nel 1798 dal Fea (resoconto pubblicato nel 1820).
Descrizione
La scena, oltre che una delle più famose, è uno straordinario documento dell'epoca. Nessun pittore si era mai spinto a tanto realismo: lo spettatore osserva dalla parte di solito riservata ai soli sacerdoti e religiosi (da un ipotetico punto di vista nell'abside), dove sono rappresentati con minuzia e vivace descrittività le caratteristiche dell'ambiente oltre il tramezzo che lo separa dalla navata: un ciborio che ricorda quelli di Arnolfo di Cambio, i frati che cantano nel coro guardando al reggilibro in alto, un pulpito visto dal lato dell'ingresso ed una croce lignea sagomata appesa, vista dal dietro, con tutti i rinforzi, e sapientemente raffigurata obliqua mentre pende verso la navata.
Una folla di persone assiste alla scena in primo piano di Francesco con il santo Bambino tra le mani (provvisto pure lui di aureola), ma le donne non possono entrare e osservano dalla porta. Molto reale è la collocazione dei personaggi nello spazio, che appaiono su piani diversi senza dare l'effetto di librarsi nell'aria o di schiacciarsi l'uno sull'altro, come nelle tavole di pittori di poco più antiche. Solo i frati sporgono in alto perché sono in piedi sugli stalli del coro di cui si intuisce la presenza solo da un piccolo dettaglio accanto alla porta. Essi hanno le bocche aperte perché stanno cantando e lo sguardo diretto al badalone (leggio) con un codice che riporta le parole e la musica.
La stesura dimostra un ampio ricorso ad aiuti di bottega. Molte delle vesti dei personaggi, a tempera, avevano originariamente colori ben diversi da quelli oggi visibili. Gli studi recenti di Bruno Zanardi e Federico Zeri leggono nel particolare modo di eseguire gli incarnati un intervento di Pietro Cavallini.
MIRACOLO DELLA SORGENTE
Fai clic qui per effettuare modifiche.Il miracolo della sorgente è la quattordicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 270x200 cm.
Indice
1 Descrizione
2 Stile
3 Bibliografia
4 Altri progetti
Descrizione
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (VII,12) di San Francesco: "Salendo il beato Francesco sopra un monte in groppa all'asino di un povero uomo a causa di un'infermità, e invocando il detto uomo, che si sentiva morir di sete, un poco d'acqua, ne cavò da una pietra: la quale né prima v'era stata, né poi fu vista." San Francesco nota il bisogno disperato dell’uomo di bere e cerca subito di soddisfarlo.
Di grandiosa eloquenza è l'inedito gesto dell'uomo che si sporge per bere l'acqua, con il piede che è realisticamente piegato nella spinta del corpo. Vasari ne diede una viva descrizione: "[nell'assetato] si vede vivo il desiderio delle acque". Dettagliata è la resa dei particolare, come il basto dell'asino.
Se qui ritorna il paesaggio ancora bizantineggiante delle rocce sporgenti (come nella scena dell'Elemosina del Mantello), l'insieme crea un gioco di linee che drammatizza la scena.
L'opera era molto rovinata dall'umidità nel 1798, quando venne restaurata. Studi hanno messo in luce come l'adesione del colore fu in alcuni punti imperfetta fin dall'inizio, forse dovuto a un cattivo calcolo dell'asciugamento, falsato dalla porta della basilica.
Dettaglio
Stile
Nell’affresco è presente la caratteristica composizione a diagonale di Giotto, che fa ricadere lo sguardo su Francesco, posto al centro e fulcro del dipinto. La luce argentata lunare unifica umanità e natura, producendo un tono poetico sull’affresco. La presenza divina non è manifestata direttamente, con simboli o apparizioni, ma è nascosta nella natura, secondo una concezione simile a quella francescana. Lo spazio dove sono poste le persone è valorizzato, non basato sulla simmetria , ma su un ordine logico e naturalezza.
Giotto costruisce la scena su una composizione caratterizzata da essenzialità, come richiedeva l’ordine francescano. La composizione dell’opera è basata sulla geometria (è infatti costruita su due diagonali), ma viene liberata dalla rigidità dell’arte bizantina e romanica e dagli schemi astratti diffusi in quelle tipologie di arte.
Indice
1 Descrizione
2 Stile
3 Bibliografia
4 Altri progetti
Descrizione
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (VII,12) di San Francesco: "Salendo il beato Francesco sopra un monte in groppa all'asino di un povero uomo a causa di un'infermità, e invocando il detto uomo, che si sentiva morir di sete, un poco d'acqua, ne cavò da una pietra: la quale né prima v'era stata, né poi fu vista." San Francesco nota il bisogno disperato dell’uomo di bere e cerca subito di soddisfarlo.
Di grandiosa eloquenza è l'inedito gesto dell'uomo che si sporge per bere l'acqua, con il piede che è realisticamente piegato nella spinta del corpo. Vasari ne diede una viva descrizione: "[nell'assetato] si vede vivo il desiderio delle acque". Dettagliata è la resa dei particolare, come il basto dell'asino.
Se qui ritorna il paesaggio ancora bizantineggiante delle rocce sporgenti (come nella scena dell'Elemosina del Mantello), l'insieme crea un gioco di linee che drammatizza la scena.
L'opera era molto rovinata dall'umidità nel 1798, quando venne restaurata. Studi hanno messo in luce come l'adesione del colore fu in alcuni punti imperfetta fin dall'inizio, forse dovuto a un cattivo calcolo dell'asciugamento, falsato dalla porta della basilica.
Dettaglio
Stile
Nell’affresco è presente la caratteristica composizione a diagonale di Giotto, che fa ricadere lo sguardo su Francesco, posto al centro e fulcro del dipinto. La luce argentata lunare unifica umanità e natura, producendo un tono poetico sull’affresco. La presenza divina non è manifestata direttamente, con simboli o apparizioni, ma è nascosta nella natura, secondo una concezione simile a quella francescana. Lo spazio dove sono poste le persone è valorizzato, non basato sulla simmetria , ma su un ordine logico e naturalezza.
Giotto costruisce la scena su una composizione caratterizzata da essenzialità, come richiedeva l’ordine francescano. La composizione dell’opera è basata sulla geometria (è infatti costruita su due diagonali), ma viene liberata dalla rigidità dell’arte bizantina e romanica e dagli schemi astratti diffusi in quelle tipologie di arte.