STORIA DELLA VERA CROCE
La Leggenda della Vera Croce racconta la storia del legno sul quale venne crocifisso Cristo, spesso tramandata in letteratura e rappresentata in opere d'arte.
La versione più nota è quella che fa parte della Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, opera composta nel XIII secolo.
La leggenda ha inizio con Adamo che, prossimo a morire, mandò il figlio Set in Paradiso per ottenere l'olio della misericordia come viatico di morte serena. L'Arcangelo Michele, invece, gli diede un ramoscello dell'albero della vita per collocarlo nella bocca di Adamo al momento della sua sepoltura (o tre semi secondo un'altra versione). Il ramo crebbe e l'albero venne ritrovato da re Salomone che, durante la costruzione del Tempio di Gerusalemme, ordinò che l'albero venisse abbattuto ed utilizzato. Gli operai non riuscirono però a trovare una collocazione, perché era sempre o troppo lungo o troppo corto, e quando lo si tagliava a misura giusta in realtà diveniva troppo corto, tanto da non poter essere utilizzato. Gli operai decisero così di gettarlo su un fiume, perché servisse da passerella. La regina di Saba, trovandosi a passare per il ponte, riconobbe il legno e profetizzò il futuro utilizzo della tavola. Salomone, messo al corrente della profezia, decise di farlo sotterrare. Quando Cristo fu condannato, la vecchia trave venne ritrovata dagli israeliti ed utilizzata per la costruzione della Croce. A questo punto la leggenda inizia a confondersi con la storia. Nel 312, la notte prima della battaglia contro Massenzio, l'imperatore Costantino I ha la mitica visione che porrà fine, anche, alle persecuzioni dei cristiani: una croce luminosa con la scritta "In hoc signo vinces". [1] L'imperatore decide allora di utilizzare la croce come insegna e il suo esercito vinse la battaglia di Ponte Milvio.
Costantino decise così di inviare la madre Elena a Gerusalemme per cercare la Croce della Crocefissione. Elena trovò una persona che conosceva il punto di sepoltura della Vera Croce. Per costringerlo a parlare, lo fece calare in un pozzo, senza pane ed acqua, per sette giorni. Convinse così il reticente a rivelare il luogo della sepoltura. Elena poté, in questo modo, rinvenire le tre diverse croci utilizzate il giorno della morte di Cristo. Per identificare quella sulla quale era morto Gesù, Sant'Elena sfiorò con il legno un defunto e questi resuscitò. Sant'Elena separò la croce in diverse parti di cui la principale venne lasciata a Gerusalemme.
All'inizio del VII secolo l'Impero bizantino visse una profonda crisi e subì attacchi da diversi fronti, in particolare dall'Impero persiano per opera del re Cosroe II. Nel 614 il re Cosroe II, dopo tre settimane di lungo assedio, riuscì ad espugnare Gerusalemme e a trafugare tutti i tesori e le reliquie a Ctesifonte. L'imperatore bizantino Eraclio raccolte tutte le forze decise di partire personalmente alla guida del suo esercito per sconfiggere i persiani e recuperare la Vera Croce. La guerra con i persiani durò diversi anni e solo nel 628 Eraclio sconfisse, decapitò Cosroe II ed ottenne la restituzione della Croce che venne riportata dallo stesso Eraclio (scalzo e vestito da pellegrino) a Gerusalemme il 21 marzo 630 tra l'esultanza del popolo.
Questo fu un tema estremamente caro ai frati francescani che spesso nel basso medioevo fecero affrescare le chiese con episodi della leggenda. Fu un tema molto rappresentato anche fuori dalla penisola italiana. In Italia particolarmente importanti sono il ciclo di affreschi di Arezzo dipinti da Piero della Francesca ed i cicli nella chiesa di Santa Croce a Firenze dipinti da Agnolo Gaddi.
La versione più nota è quella che fa parte della Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, opera composta nel XIII secolo.
La leggenda ha inizio con Adamo che, prossimo a morire, mandò il figlio Set in Paradiso per ottenere l'olio della misericordia come viatico di morte serena. L'Arcangelo Michele, invece, gli diede un ramoscello dell'albero della vita per collocarlo nella bocca di Adamo al momento della sua sepoltura (o tre semi secondo un'altra versione). Il ramo crebbe e l'albero venne ritrovato da re Salomone che, durante la costruzione del Tempio di Gerusalemme, ordinò che l'albero venisse abbattuto ed utilizzato. Gli operai non riuscirono però a trovare una collocazione, perché era sempre o troppo lungo o troppo corto, e quando lo si tagliava a misura giusta in realtà diveniva troppo corto, tanto da non poter essere utilizzato. Gli operai decisero così di gettarlo su un fiume, perché servisse da passerella. La regina di Saba, trovandosi a passare per il ponte, riconobbe il legno e profetizzò il futuro utilizzo della tavola. Salomone, messo al corrente della profezia, decise di farlo sotterrare. Quando Cristo fu condannato, la vecchia trave venne ritrovata dagli israeliti ed utilizzata per la costruzione della Croce. A questo punto la leggenda inizia a confondersi con la storia. Nel 312, la notte prima della battaglia contro Massenzio, l'imperatore Costantino I ha la mitica visione che porrà fine, anche, alle persecuzioni dei cristiani: una croce luminosa con la scritta "In hoc signo vinces". [1] L'imperatore decide allora di utilizzare la croce come insegna e il suo esercito vinse la battaglia di Ponte Milvio.
Costantino decise così di inviare la madre Elena a Gerusalemme per cercare la Croce della Crocefissione. Elena trovò una persona che conosceva il punto di sepoltura della Vera Croce. Per costringerlo a parlare, lo fece calare in un pozzo, senza pane ed acqua, per sette giorni. Convinse così il reticente a rivelare il luogo della sepoltura. Elena poté, in questo modo, rinvenire le tre diverse croci utilizzate il giorno della morte di Cristo. Per identificare quella sulla quale era morto Gesù, Sant'Elena sfiorò con il legno un defunto e questi resuscitò. Sant'Elena separò la croce in diverse parti di cui la principale venne lasciata a Gerusalemme.
All'inizio del VII secolo l'Impero bizantino visse una profonda crisi e subì attacchi da diversi fronti, in particolare dall'Impero persiano per opera del re Cosroe II. Nel 614 il re Cosroe II, dopo tre settimane di lungo assedio, riuscì ad espugnare Gerusalemme e a trafugare tutti i tesori e le reliquie a Ctesifonte. L'imperatore bizantino Eraclio raccolte tutte le forze decise di partire personalmente alla guida del suo esercito per sconfiggere i persiani e recuperare la Vera Croce. La guerra con i persiani durò diversi anni e solo nel 628 Eraclio sconfisse, decapitò Cosroe II ed ottenne la restituzione della Croce che venne riportata dallo stesso Eraclio (scalzo e vestito da pellegrino) a Gerusalemme il 21 marzo 630 tra l'esultanza del popolo.
Questo fu un tema estremamente caro ai frati francescani che spesso nel basso medioevo fecero affrescare le chiese con episodi della leggenda. Fu un tema molto rappresentato anche fuori dalla penisola italiana. In Italia particolarmente importanti sono il ciclo di affreschi di Arezzo dipinti da Piero della Francesca ed i cicli nella chiesa di Santa Croce a Firenze dipinti da Agnolo Gaddi.
.Le Storie della Vera Croce è un ciclo di affreschi conservato nella cappella maggiore della basilica di San Francesco ad Arezzo. Iniziato da Bicci di Lorenzo, venne dipinto soprattutto da Piero della Francesca, tra il 1452 e il 1466, che ne fece uno dei capolavori di tutta la pittura rinascimentale.
to nel 1992.
Il tema del ciclo è la storia della Vera Croce tratta dalla leggenda aurea di Iacopo da Varaggine verso la fine del 200 particolarmente cara ai francescani. Nel corso dei secoli, calamità naturali, violenti terremoti, infiltrazioni d'acqua, restauri sbagliati ed inquinamento hanno portato lo stato degli affreschi nell'ultimo decennio ad uno stato di pessima conservazione, causando anche distacchi d'intonaco. Negli ultimi anni, un paziente lavoro di restauro ha reso stupendo questo ciclo di affreschi restituendo alle pitture luminosità e ricchezza cromatica.
to nel 1992.
Il tema del ciclo è la storia della Vera Croce tratta dalla leggenda aurea di Iacopo da Varaggine verso la fine del 200 particolarmente cara ai francescani. Nel corso dei secoli, calamità naturali, violenti terremoti, infiltrazioni d'acqua, restauri sbagliati ed inquinamento hanno portato lo stato degli affreschi nell'ultimo decennio ad uno stato di pessima conservazione, causando anche distacchi d'intonaco. Negli ultimi anni, un paziente lavoro di restauro ha reso stupendo questo ciclo di affreschi restituendo alle pitture luminosità e ricchezza cromatica.
Scena1: Morte di Adamo
La scena è divisa in due parti: a destra è raffigurato Adamo morente che invia il figlio Seth alle porte del paradiso per chiedere l'olio del regno della misericordia per poter ungere il proprio corpo e recuperare la salute.
Ma l'Arcangelo Michele (in secondo piano) rifiuta la richiesta. In cambio l'Arcangelo dona un ramo dell'albero del bene e del male, che fu causa del peccato di Adamo ed Eva. Avendo trovato il padre morto, al suo ritorno Seth pianta in bocca di Adamo il virgulto (sulla sinistra della scena) in cui l'albero della salvezza è già cresciuto. L'albero rappresenta il vero protagonista di tutta la leggenda, essendo la prefigurazione della croce di Gesù.
VEDI SITO:
http://alfredostudio.altervista.org/home.htm?croce-storia.htm&3
La scena è divisa in due parti: a destra è raffigurato Adamo morente che invia il figlio Seth alle porte del paradiso per chiedere l'olio del regno della misericordia per poter ungere il proprio corpo e recuperare la salute.
Ma l'Arcangelo Michele (in secondo piano) rifiuta la richiesta. In cambio l'Arcangelo dona un ramo dell'albero del bene e del male, che fu causa del peccato di Adamo ed Eva. Avendo trovato il padre morto, al suo ritorno Seth pianta in bocca di Adamo il virgulto (sulla sinistra della scena) in cui l'albero della salvezza è già cresciuto. L'albero rappresenta il vero protagonista di tutta la leggenda, essendo la prefigurazione della croce di Gesù.
VEDI SITO:
http://alfredostudio.altervista.org/home.htm?croce-storia.htm&3
L'identificazione di Geremia si basa sul riscontro della sua posizione accanto alla Morte di Adamo, verso la quale guarda ed è riguardato da un personaggio all'estremità sinistra. Geremia infatti aveva profetizzato la venuta di un discendente di Davide che Jahvé farà crescere come il germoglio piantato nella bocca di Adamo, interpretato come allusione al Cristo che lega la scena della nascita dell'Albero della Conoscenza al resto delle storie della Croce.
Il profeta è raffigurato in piedi, su uno sfondo scuro, come i personaggi del Ciclo degli uomini e donne illustri di Andrea del Castagno già a villa Carducci di Legnaia (1448-1451). In mano tiene un cartiglio svolazzante, dove però non c'è iscrizione o non si è conservata. L'elemento più spettacolare è l'illuminazione sperimentale che proviene da dietro a sinistra, dalla finestra cioè che illumina naturalmente la cappella. In questo senso il profeta è come se fosse sbalzato in avanti sul gradino, proiettandosi verso lo spettatore quel tanto che basta per lasciarsi la finestra e la luce alle spalle.
La veste del profeta è blu, con mantello rosso e bianco, mentre nel profeta Ezechiele il rosso sta sulla veste, secondo un'alternanza di colori frequente nell'arte pierfrancescana
Il profeta è raffigurato in piedi, su uno sfondo scuro, come i personaggi del Ciclo degli uomini e donne illustri di Andrea del Castagno già a villa Carducci di Legnaia (1448-1451). In mano tiene un cartiglio svolazzante, dove però non c'è iscrizione o non si è conservata. L'elemento più spettacolare è l'illuminazione sperimentale che proviene da dietro a sinistra, dalla finestra cioè che illumina naturalmente la cappella. In questo senso il profeta è come se fosse sbalzato in avanti sul gradino, proiettandosi verso lo spettatore quel tanto che basta per lasciarsi la finestra e la luce alle spalle.
La veste del profeta è blu, con mantello rosso e bianco, mentre nel profeta Ezechiele il rosso sta sulla veste, secondo un'alternanza di colori frequente nell'arte pierfrancescana
Il Profeta Ezechiele è un affresco (193 cm alla base) di Piero della Francesca e aiuti, facente parte delle Storie della Vera Croce nella cappella maggiore della basilica di San Francesco ad Arezzo, databile al 1458-1466. Si trova nel registro superiore della parete centrale, a sinistra della vetrata centrale e fa pendant con il Profeta Geremia sul lato opposto.Ezechiele in particolare venne dipinto in massima parte dall'assistente Giovanni di Piamonte, come dimostra il chiaroscuro secco e grafico dei riccioli, o la sfumatura approssimativa del panneggio del mantello. Il disegno viene comunque attribuito al maestro.
SCENA 2
Il Riconoscimento e l'Adorazione della Croce Nel libretto di Jacopo da Varagine si racconta che fu Mosé per primo a trapiantare le tre verghe sacre, le quali in seguito, tanti anni dopo, furono portate dal re Davide a Gerusalemme; poi furono legate, messe nel Tempio e di qui trasportate dai giudei a far da ponticello su un ruscelletto di nome Siloe. E ponticello rimase il sacro Legno fino a quando la regina di Saba venne in visita dal re Salomone e, imbattutasi nel Legno, si prostrò ad adorarlo. Poi In quell'epoca l'albero era stato tagliato ed usato per fare la trave di un ponte, ma la Regina di Saba, nel viaggio compiuto per incontrare il Re, riconobbe il legno prodigioso e, con la sua corte, si inginocchiò per adorarlo. L'estremità sinistra è colmata da due palafrenieri che tengono i cavalli della corte reale. Uno dei cavalli si innervosisce e mostra il morso, una citazione forse dall'Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano. Tipica di Piero è l'alternanza di colori, in questo caso tra i cavalli e i cappelli dei palafrenieri, impostati a un bianco/nero che si scambia, e le sopravvesti che hanno lo stesso colore dei pantaloni del compagno.
La posa della dama dietro la Regina indica il sacro legno, indirizzando l'occhio dello spettatore, mentre la figura della regina inginocchiata ha un preciso riferimento simmetrico sulla parete opposta, dove nella scena Ritrovamento delle tre croci e verifica della Croce fa un gesto analogo l'imperatrice Elena.
Il Riconoscimento e l'Adorazione della Croce Nel libretto di Jacopo da Varagine si racconta che fu Mosé per primo a trapiantare le tre verghe sacre, le quali in seguito, tanti anni dopo, furono portate dal re Davide a Gerusalemme; poi furono legate, messe nel Tempio e di qui trasportate dai giudei a far da ponticello su un ruscelletto di nome Siloe. E ponticello rimase il sacro Legno fino a quando la regina di Saba venne in visita dal re Salomone e, imbattutasi nel Legno, si prostrò ad adorarlo. Poi In quell'epoca l'albero era stato tagliato ed usato per fare la trave di un ponte, ma la Regina di Saba, nel viaggio compiuto per incontrare il Re, riconobbe il legno prodigioso e, con la sua corte, si inginocchiò per adorarlo. L'estremità sinistra è colmata da due palafrenieri che tengono i cavalli della corte reale. Uno dei cavalli si innervosisce e mostra il morso, una citazione forse dall'Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano. Tipica di Piero è l'alternanza di colori, in questo caso tra i cavalli e i cappelli dei palafrenieri, impostati a un bianco/nero che si scambia, e le sopravvesti che hanno lo stesso colore dei pantaloni del compagno.
La posa della dama dietro la Regina indica il sacro legno, indirizzando l'occhio dello spettatore, mentre la figura della regina inginocchiata ha un preciso riferimento simmetrico sulla parete opposta, dove nella scena Ritrovamento delle tre croci e verifica della Croce fa un gesto analogo l'imperatrice Elena.
L'Incontro tra Salomone e la Regina di Saba Dettaglio speculare
La parte destra della scena mostra l'incontro tra la Regina di Saba e Salomone, che avviene entro un palazzo classicheggiante, con specchiature marmoree, colonne scanalate, capitelli compositi e architravi articolate a fasce. La metà sinistra è composta daglimodifiche. uomini, cioè Salomone e i suoi accompagnatori, mentre quella destra è dominata dalle donne, con la Regina e il suo seguito. La Regina è rappresentata nell'atto di inchinarsi in segno di umiltà e sottomissione, un gesto che nell'arte dell'epoca (come nella Porta del Paradiso di Lorenzo Ghiberti) simboleggiava la riunione tra Chiesa latina e Chiesa greca, avvenuta durante il Concilio di Firenze del 1439. La Regina profetizzò anche in quell'occasione come quel legno avrebbe portato la rovina del giudaismo, per questo re Salomone diede l'ordine di seppellirlo.
La parte destra della scena mostra l'incontro tra la Regina di Saba e Salomone, che avviene entro un palazzo classicheggiante, con specchiature marmoree, colonne scanalate, capitelli compositi e architravi articolate a fasce. La metà sinistra è composta daglimodifiche. uomini, cioè Salomone e i suoi accompagnatori, mentre quella destra è dominata dalle donne, con la Regina e il suo seguito. La Regina è rappresentata nell'atto di inchinarsi in segno di umiltà e sottomissione, un gesto che nell'arte dell'epoca (come nella Porta del Paradiso di Lorenzo Ghiberti) simboleggiava la riunione tra Chiesa latina e Chiesa greca, avvenuta durante il Concilio di Firenze del 1439. La Regina profetizzò anche in quell'occasione come quel legno avrebbe portato la rovina del giudaismo, per questo re Salomone diede l'ordine di seppellirlo.
SCENA 3 SALOMONE FA' RIMUOVERE LA CROCE:
Salomone fa quindi rimuovere il ponte e ordina che sia seppellito sottoterra. Questo momento è rappresentato alla sinistra della scena precedente, alla stessa altezza, nella parete a destra della finestra. Nella scena della rimozione del ponte sono rappresentati tre operai che eseguono l'ordine di Salomone
Il Legno rimase a far da ponticello fino al tempo della Passione di Gesù, quando i giudei lo tolsero per farne la croce. Nella figura del primo portatore (la cerchia dei capelli a corona di spine, la veste bianca, la posizione tradizionale del portacroce) c’è una precisa allusione alla Passione di Cristo. La grande tavola di legno attraversa in diagonale tutto il riquadro. Cosa ci rivela? C’è analogia tra le venature del legno e le striature delle nuvole nel cielo, c’è simmetria tra la diagonale in primo piano e quella del declivio del monte, è sottolineato lo sforzo degli uomini che sollevano il legno. C’è l’unità strutturale della natura visibile? C’è l’omogeneità dello spazio vicino e lontano?
Salomone fa quindi rimuovere il ponte e ordina che sia seppellito sottoterra. Questo momento è rappresentato alla sinistra della scena precedente, alla stessa altezza, nella parete a destra della finestra. Nella scena della rimozione del ponte sono rappresentati tre operai che eseguono l'ordine di Salomone
Il Legno rimase a far da ponticello fino al tempo della Passione di Gesù, quando i giudei lo tolsero per farne la croce. Nella figura del primo portatore (la cerchia dei capelli a corona di spine, la veste bianca, la posizione tradizionale del portacroce) c’è una precisa allusione alla Passione di Cristo. La grande tavola di legno attraversa in diagonale tutto il riquadro. Cosa ci rivela? C’è analogia tra le venature del legno e le striature delle nuvole nel cielo, c’è simmetria tra la diagonale in primo piano e quella del declivio del monte, è sottolineato lo sforzo degli uomini che sollevano il legno. C’è l’unità strutturale della natura visibile? C’è l’omogeneità dello spazio vicino e lontano?
SCENA 4: IL SOGNO DI COSTANTINO:
Nella scena di lato, Costantino riceve in sogno la visione dell'Angelo inviato da Dio nella notte antecedente la battaglia contro il nemico Massenzio.
L'Angelo impugna verso di lui una Croce fatta di luce annunciandogli che questa lo porterà alla vittoria se combatterà nel suo segno "in hoc signo vincit"
Parete destra, riquadro piccolo, in basso a sinistra. Quasi trecento anni rimase il Legno sotterrato sul Golgota ed accadde che l’imperatore Costantino, alla vigilia di una grande e decisiva battaglia contro Massenzio, riposando durante la notte nel suo accampamento, vide in sogno un angelo che gli indicava una luminosissima croce in cielo con una scritta. Questo è stato ritenuto il primo grande notturno della pittura italiana. Nella tenda aperta Costantino dorme sul suo letto da campo. E’ una tenda a forma di cilindro sormontato da un cono, aperta sul davanti in modo da ripetere la disposizione triangolare della copertura. Sullo sfondo, contro il cielo scuro, si vedono le cime delle tende dietro quella del generale. Davanti al palo, vicino all’apertura, dorme l’imperatore, vegliato da una guardia del corpo seduto su un cassone e da due sentinelle in armi. La buia e quieta scena è illuminata all’improvviso da un bagliore mentre un angelo, a sinistra, cala dal cielo tenendo il simbolo della croce nella mano protesa. La luce, divina e invisibile agli attendenti, coincide con lo spazio umano i cui limiti sono, sul fondo, l’interno della tenda e, davanti, le due sentinelle, in posa inversa. La luce è di origine divina, non razionale, eppure essa illumina geometricamente e razionalmente. C’è una sintesi totale dei due elementi indipendenti, lo spazio a sé stante e la luce che lo riempie. Su tutto domina un silenzio altissimo e quasi un senso di incomunicabilità tra i personaggi: scrive Adorno che “il sogno si svolge solitariamente senza la partecipazione dei presenti. Non esiste il passaggio del tempo: tutto è eterno. C’è una grande legge che regola la transitorietà dei fatti umani e questa legge matematica, di origine divina, non può essere che eterna”. Come nelle pitture di Andrea Mantegna nel Palazzo Ducale di Mantova ci sono elementi che ricordano una scena teatrale: il proscenio è delineato chiaramente, è molto curato il costume dei legionari romani, nulla ci distrae dall’azione principale. Col recente restauro questo primo notturno italiano si è rivelato una splendida alba, soffusa di un chiarore che sta cacciando dal cielo le ultime stelle.
Nella scena di lato, Costantino riceve in sogno la visione dell'Angelo inviato da Dio nella notte antecedente la battaglia contro il nemico Massenzio.
L'Angelo impugna verso di lui una Croce fatta di luce annunciandogli che questa lo porterà alla vittoria se combatterà nel suo segno "in hoc signo vincit"
Parete destra, riquadro piccolo, in basso a sinistra. Quasi trecento anni rimase il Legno sotterrato sul Golgota ed accadde che l’imperatore Costantino, alla vigilia di una grande e decisiva battaglia contro Massenzio, riposando durante la notte nel suo accampamento, vide in sogno un angelo che gli indicava una luminosissima croce in cielo con una scritta. Questo è stato ritenuto il primo grande notturno della pittura italiana. Nella tenda aperta Costantino dorme sul suo letto da campo. E’ una tenda a forma di cilindro sormontato da un cono, aperta sul davanti in modo da ripetere la disposizione triangolare della copertura. Sullo sfondo, contro il cielo scuro, si vedono le cime delle tende dietro quella del generale. Davanti al palo, vicino all’apertura, dorme l’imperatore, vegliato da una guardia del corpo seduto su un cassone e da due sentinelle in armi. La buia e quieta scena è illuminata all’improvviso da un bagliore mentre un angelo, a sinistra, cala dal cielo tenendo il simbolo della croce nella mano protesa. La luce, divina e invisibile agli attendenti, coincide con lo spazio umano i cui limiti sono, sul fondo, l’interno della tenda e, davanti, le due sentinelle, in posa inversa. La luce è di origine divina, non razionale, eppure essa illumina geometricamente e razionalmente. C’è una sintesi totale dei due elementi indipendenti, lo spazio a sé stante e la luce che lo riempie. Su tutto domina un silenzio altissimo e quasi un senso di incomunicabilità tra i personaggi: scrive Adorno che “il sogno si svolge solitariamente senza la partecipazione dei presenti. Non esiste il passaggio del tempo: tutto è eterno. C’è una grande legge che regola la transitorietà dei fatti umani e questa legge matematica, di origine divina, non può essere che eterna”. Come nelle pitture di Andrea Mantegna nel Palazzo Ducale di Mantova ci sono elementi che ricordano una scena teatrale: il proscenio è delineato chiaramente, è molto curato il costume dei legionari romani, nulla ci distrae dall’azione principale. Col recente restauro questo primo notturno italiano si è rivelato una splendida alba, soffusa di un chiarore che sta cacciando dal cielo le ultime stelle.
Scena 5: La battaglia di Costantino e Massenzio.
Sulla parte destra allo stesso livello della scena precedente, è rappresentata la battaglia combattuta al ponte Milvio sulle rive del Tevere. Costantino avendo accolto il messaggio anche se non ancora convertito avanza impugnando la Croce determinando così la fuga dell'esercito di Massenzio.
Sulla destra dell'affresco sono rappresentati i soldati sconfitti in fuga, mentre a sinistra si vede l'esercito vittorioso dell'imperatore Costantino.
La battaglia vittoriosa di Ponte Milvio (F). Parete destra, rettangolo in basso. La battaglia è come vista al rallentatore, non rappresenta passioni drammi morte furore strage. C’è quasi un tono di rito sacro, la maestà di una pala d’altare. L’esercito di Massenzio, a destra, è in fuga disordinata al di là del Tevere, a sinistra c’è Costantino (che ha il cappello come il Paleologo nella “Flagellazione” di Urbino) che avanza tenendo in mano la bianca piccola croce, attorniato dai suoi generali che incedono con ordine e calma al suo fianco. Sono già vincitori, senza nemmeno combattere. In alto c’è un cielo azzurro, con bianche nuvole di marmo, la luce è chiara e cristallina, pulita dai venti di tramontana. Lo spazio è definito dalle aste delle lance, dalle bandiere vivacemente colorate, dai cimieri enormi e geometrici e dai pennacchi degli elmi. C’è una struttura speculare accentuata dall’inclinazione in avanti verso destra delle lance delle schiere costantiniane mentre i vessilli dell’esercito di Massenzio, in fuga, si piegano verso sinistra. Sembra quasi una spettacolosa parata di cavalli bardati a festa, di lance multicolori e di stendardi; al ritmo scandito dall’intreccio delle gambe dei cavalli in terra risponde il ritmo serrato delle lance in cielo; sono bellissimi i colori complementari, verde su rosso, aranciato su azzurro. In mezzo ai due eserciti c’è il Tevere: non quello di ponte Milvio ma il piccolo fiume di Borgo Sansepolcro, coi suoi colli e alberi, casali e cespugli, segnati da affettuosi particolari come per il piacere di ricordare. Le acque limpide e tortuose riflettono il paesaggio mentre, indifferente al tumulto, un piccolo gruppo di anatre nuota placidamente.
Sulla parte destra allo stesso livello della scena precedente, è rappresentata la battaglia combattuta al ponte Milvio sulle rive del Tevere. Costantino avendo accolto il messaggio anche se non ancora convertito avanza impugnando la Croce determinando così la fuga dell'esercito di Massenzio.
Sulla destra dell'affresco sono rappresentati i soldati sconfitti in fuga, mentre a sinistra si vede l'esercito vittorioso dell'imperatore Costantino.
La battaglia vittoriosa di Ponte Milvio (F). Parete destra, rettangolo in basso. La battaglia è come vista al rallentatore, non rappresenta passioni drammi morte furore strage. C’è quasi un tono di rito sacro, la maestà di una pala d’altare. L’esercito di Massenzio, a destra, è in fuga disordinata al di là del Tevere, a sinistra c’è Costantino (che ha il cappello come il Paleologo nella “Flagellazione” di Urbino) che avanza tenendo in mano la bianca piccola croce, attorniato dai suoi generali che incedono con ordine e calma al suo fianco. Sono già vincitori, senza nemmeno combattere. In alto c’è un cielo azzurro, con bianche nuvole di marmo, la luce è chiara e cristallina, pulita dai venti di tramontana. Lo spazio è definito dalle aste delle lance, dalle bandiere vivacemente colorate, dai cimieri enormi e geometrici e dai pennacchi degli elmi. C’è una struttura speculare accentuata dall’inclinazione in avanti verso destra delle lance delle schiere costantiniane mentre i vessilli dell’esercito di Massenzio, in fuga, si piegano verso sinistra. Sembra quasi una spettacolosa parata di cavalli bardati a festa, di lance multicolori e di stendardi; al ritmo scandito dall’intreccio delle gambe dei cavalli in terra risponde il ritmo serrato delle lance in cielo; sono bellissimi i colori complementari, verde su rosso, aranciato su azzurro. In mezzo ai due eserciti c’è il Tevere: non quello di ponte Milvio ma il piccolo fiume di Borgo Sansepolcro, coi suoi colli e alberi, casali e cespugli, segnati da affettuosi particolari come per il piacere di ricordare. Le acque limpide e tortuose riflettono il paesaggio mentre, indifferente al tumulto, un piccolo gruppo di anatre nuota placidamente.
SCENA.6
La leggenda prosegue nella parte sinistra della cappella con la tortura di Giuda ebreo, unico uomo che conosce il luogo dove sono state sotterrate le tre croci del Calvario. Giuda si rifiuta di rilevare il luogo e la Regina Elena lo fa calare in un pozzo senza cibo e senza acqua, e così dopo sei giorni Giuda decide di parlare.
La tortura dell’ebreo (G). Passiamo alla parete di sinistra, piccolo riquadro al centro. La Leggendaracconta che Costantino si converte al cristianesimo e, dopo essere guarito dalla lebbra, manda la madre Elena a Gerusalemme per ritrovare la Croce. I giudei non vogliono rivelare il segreto finché Elena non comincia a farli ardere vivi e ha così nelle mani il vero conoscitore del segreto. L’ebreo Giuda viene allora messo alla tortura, tenuto sei giorni in un pozzo secco e alla fine, tirato fuori, parla. Questa pittura è un documento veritiero di cronaca giudiziaria di metà Quattrocento. Il grande cavalletto occupa quasi tutto lo spazio, nelle sue oblique si inseriscono i gesti dei due gruppi, degli uomini che tirano la fune con le braccia levate, dell’ebreo afferrato per i capelli dall’aguzzino. La verticalità dei pali richiama il parallelo con la diagonale del Legno nella Rimozione del ponte, riquadro affiancato nella parete di destra.
La leggenda prosegue nella parte sinistra della cappella con la tortura di Giuda ebreo, unico uomo che conosce il luogo dove sono state sotterrate le tre croci del Calvario. Giuda si rifiuta di rilevare il luogo e la Regina Elena lo fa calare in un pozzo senza cibo e senza acqua, e così dopo sei giorni Giuda decide di parlare.
La tortura dell’ebreo (G). Passiamo alla parete di sinistra, piccolo riquadro al centro. La Leggendaracconta che Costantino si converte al cristianesimo e, dopo essere guarito dalla lebbra, manda la madre Elena a Gerusalemme per ritrovare la Croce. I giudei non vogliono rivelare il segreto finché Elena non comincia a farli ardere vivi e ha così nelle mani il vero conoscitore del segreto. L’ebreo Giuda viene allora messo alla tortura, tenuto sei giorni in un pozzo secco e alla fine, tirato fuori, parla. Questa pittura è un documento veritiero di cronaca giudiziaria di metà Quattrocento. Il grande cavalletto occupa quasi tutto lo spazio, nelle sue oblique si inseriscono i gesti dei due gruppi, degli uomini che tirano la fune con le braccia levate, dell’ebreo afferrato per i capelli dall’aguzzino. La verticalità dei pali richiama il parallelo con la diagonale del Legno nella Rimozione del ponte, riquadro affiancato nella parete di destra.
Fai clic qui per effettuare modifiche.L’Annuncio a Maria (D). E’ una scena non prevista nella “Legenda” ed è collocata nella parete di sinistra, in basso. Essa allude alla vita e alla morte del Cristo ma, secondo altri studiosi, annuncia la morte della Madonna. La palma che l’angelo stringe tra le dita al posto del giglio tradizionale confermerebbe l’opinione del Salmi, che vi vede appunto l’annuncio della morte. Altri spiegano che la palma è da interpretare in un’ottica diversa, avrebbe il duplice valore del martirio e della vittoria, rimanderebbe al sacrificio di Cristo sulla croce e sarebbe da porsi in relazione con la Resurrezione di Gesù e con Costantino vincitore. Come che sia, Maria è maestosamente regale, marcata dall’ovoide della testa, parallela alla colonna centrale; persino la semplice reticella che le chiude i capelli è sovranamente elegante. Dio Padre ha la stessa barba bifida, la stessa chioma candida e la stessa espressione del ritratto dell’imperatore Sigismondo dipinto da Piero nel Tempio malatestiano di Rimini. Il trepido angelo di contro alla Vergine alta e certissima richiama il parallelismo con l’angelo annunziante dell’episodio successivo. In entrambi gli episodi l’angelo porta un annuncio che modifica l’andamento della storia degli uomini e il disegno di Dio si intreccia col fluire della vita quotidiana. Il rigoroso impianto prospettico di questa scena sarà una lezione per Antonello da Messina che l’utilizzerà ampiamente nella sua “Annunciazione”, ora nel museo di Siracusa.
Il ritrovamento della vera Croce (H). Parete di sinistra, rettangolo centrale. Si riportano così alla luce le tre croci della Passione. Ma come riconoscere quella di Cristo? Portate le croci in città, si attende un miracolo. Ed ecco che, venendo per le strade un corteo funebre, sono avvicinate le tre croci alternativamente al giovane morto e questo, toccato dalla vera Croce, resuscita. I due episodi sono staccati dalla ripartizione degli sfondi e degli spazi: a sinistra il dissotterramento delle croci, con Elena e il suo seguito e gli sterratori, e –dietro i monti- Gerusalemme (cioè la stupenda apparizione dai colli digradanti delle case di Arezzo, coi tetti, le porte, le torri, la stessa chiesa di S. Francesco); a destra c’è la rappresentazione del miracolo tra le vie della città soleggiata con sullo sfondo, evidentissimo, un tempio brunelleschiano bellissimo, ravvivato bizantinamente dal colore dei marmi, purissimo teorema della nuova architettura rinascimentale. La veduta idealizzata di Gerusalemme, in realtà Arezzo, così squadrata da far parlare di cubismo, ha fatto dire a Roberto Longhi che ricorda “la struttura di certi paesi provenzali cementati da Cézanne”.
Fai clic qui per effettuare modifiche.La battaglia tra Cosroe ed Eraclio (I). Parete di sinistra, rettangolo in basso. Siamo giunti così all’anno 615. Cosroe, re di Persia, compie una scorreria fino a Gerusalemme, rapisce la Croce, se la fa porre a lato del suo trono, dove siede come Dio padre, sostenendo d’avere il Figliolo a destra (la croce) e lo Spirito Santo a sinistra (il gallo) –come ben si vede all’estrema destra del riquadro-. Allora Eraclio, imperatore bizantino, raggiunge e sconfigge Cosroe e gli fa tagliare la testa. Questa è una vera battaglia disordinata e sanguinosa; vediamo un groviglio di armigeri, di cavalli, di lance, ispirato forse a bassorilievi romani. La selezione dei colori permette di rivedere bandiere squillanti che sventolano, la congestione di “feriti cascati e morti” (Vasari), e le corazze dei cavalieri sembrano avere lo spessore del ferro mentre il volto di un trombettiere rivela tutta la malinconica dolcezza dell’ideale bellezza rinascimentale italiana. La scena culmina a destra con la decapitazione del re sacrilego. Nel gruppo intorno a lui si ravvisano i ritratti di famiglia dei Bacci, committenti del ciclo. Il critico Bussagli scrive una notazione interessante: Cosroe sconfitto mostra lo stesso viso pensieroso e quasi sofferente del Dio dell’”Annunciazione” . Non è infatti Eraclio vittorioso ad avere il volto di Dio ma il re sassanide perdente e ucciso: è come se Piero avesse voluto dire che il volto dell’Eterno è nel dolore degli altri, degli sconfitti.
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Fai clic qui per effettuare modifiche.La Croce è riportata a Gerusalemme (L). Parete di sinistra, lunettone in alto. Eraclio, con un corteo, restituisce la Croce alla città santa affinché sia riposta nel suo luogo originario. L’imperatore non imbraccia la Croce, come avrebbe fatto il Cristo, ma la porta come un vessillo processionale, in un rito di culto semplice e antico. Eraclio (che è anche Costantino) è circondato da figure vestite come i padri della Chiesa orientale, quelli che Piero da giovane aveva visto riuniti a Firenze in occasione del Concilio del 1439 e che rivede a Mantova nel 1459. Gli italiani, i fiorentini i mantovani, probabilmente rimasero attoniti nel vedere sfilare lungo le strade delle loro città questi strani personaggi vestiti con caffettani e manti preziosi, che portavano copricapi inverosimili, fiancheggiati da servi mori e mongoli e accompagnati da cammelli ricoperti con lussuose gualdrappe. L’immaginazione di Piero dovette rimanere così colpita da questi personaggi che continuerà a raffigurarli per anni nei suoi dipinti. Si deve notare che ancora una volta il nostro pittore è attentissimo nel sottolineare, attraverso i costumi e i personaggi, l’attualità delle scene che dipinge su queste pareti, messe così in relazione con gli avvenimenti contemporanei che scuotevano la cristianità. Dal punto di vista cromatico sono spuntati di nuovo rosa tenui, bianchi cangianti –con un’incredibile varietà di sfumature-, e sempre si respira un’atmosfera di grande sacralità. Il grande ciclo, che si era aperto con l’urlo della disperazione umana di fronte al primo apparire della morte, si chiude alla fine nel rituale solenne d’una ritrovata serenità, di una distesa pace spirituale.